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L’inQubatore per una rete di buone pratiche

Fabio Dipinto racconta l’associazione nata per promuovere la cultura sostenibile nell’area torinese, i risultati dell’edizione zero di BeeGreen e i progetti futuri.

“Le parole chiave alla base del nostro agire sono valorizzazione del territorio e tutela dell’ambiente.” Così si presenta l’inQubatore Qulturale, attivo dall’autunno 2016, quando si aggiudicò un bando pubblico legato a Corona Verde, diventato Associazione culturale nel settembre 2017.

A dicembre 2017 l’inQubatore lanciò una proposta alle tante associazioni interessate ai temi della sostenibilità: mettere in rete le proprie iniziative per dare vita a un festival multiforme. Hanno risposto venticinque realtà, e nel mese di maggio si è svolto il BeeGreen Festival. A Festival terminato abbiamo intervistato Fabio Dipinto, videographer e documentarista, presidente dell'Associazione inQubatore Qulturale.

D. Una prima curiosità: come nasce il vostro nome?
R. L’inQubatore è un settore dell’azienda QQWeDo, un laboratorio di comunicazione creativa e produzione multimediale. La doppia Q sta a significare la connessione tra i due progetti. Noi dell’inQubatore Qulturale puntiamo a diventare hub del territorio della Corona Verde, un progetto che unisce 33 comuni dell’area metropolitana torinese. Nello specifico, siamo referenti dell’area di Torino Ovest, però siamo l’unica vetrina dell’intero progetto per quelli che sono i temi legati alle pratiche ambientali. La parte web è preponderante rispetto alle altre attività: blogging, rilancio di iniziative, di eventi e di alcuni itinerari ciclopedonali presenti nel territorio; si cerca di raccontare il territorio e, parallelamente, dare risalto alle iniziative virtuose nel campo ambientale.

D. Alle vostre iniziative partecipano più persone che vivono nei comuni dell’hinterland torinese oppure persone che arrivano dal capoluogo?
R. C’è uno zoccolo duro della nostra zona, ma con iniziative di più ampio respiro, attività gratuite, appetibili in termini di turismo e di scoperta del territorio (come il BeeGreen e le Jane’s walk) abbiamo portato qui molte persone da tutto il Piemonte. 

D. Gratuite perché avete finanziamenti pubblici e/o privati?
R. Non abbiamo finanziamenti, ma c’è una vocazione filantropica (risata, ndr) alla base del nostro progetto.

D. Per quanto riguarda il BeeGreen Festival: qual è il bilancio?
R. È stato un esperimento, nel senso che nasceva per metterci alla prova e tentare di fare rete con altre realtà del territorio. Possiamo dire di aver raggiunto entrambi i traguardi; siamo riusciti a realizzare una rete virtuosa sotto molti differenti aspetti e abbiamo potuto conoscere una serie di realtà che diversamente non avremmo avuto modo di incrociare, incontri interessanti per confrontarci e migliorare. Ci siamo messi alla prova nell’organizzazione di un evento di ampie dimensioni e, nell’insieme, il bilancio, essendo stata un’edizione zero, sperimentale, organizzata su base volontaristica, è stato sicuramente positivo. È stato tutto a costo zero, ognuno, sia le associazioni sia noi dell’organizzazione, ha messo ore/lavoro a disposizione e quindi si è riusciti, cooperando, a realizzare qualcosa di buono, riuscendo a dialogare con la cittadinanza su temi attuali e importanti. Certo, non possiamo negare che ci siano stati anche alcuni elementi negativi: alcune attività hanno funzionato molto bene, altre sono state un po’ dei flop. Le attività che hanno funzionato bene sono state quelle ben costruite, con una buona comunicazione alle spalle, realtà abbastanza solide con uno zoccolo duro che le segue. Altre attività con realtà più “minute” non hanno avuto un buon esito, vuoi per il tipo di iniziativa, vuoi per la poca comunicazione. Una piccolissima percentuale delle 25 associazioni ha percepito la partecipazione al BeeGreen non come una cooperazione, ma un “mi inserisco per farmi pubblicità”. Queste iniziative hanno fallito: ci voleva anche uno sforzo personale, perché non siamo ancora una realtà così forte da poter portare grandi quantità di partecipanti. Il prossimo anno abbiamo intenzione di riproporlo cercando finanziamenti, pubblici e privati, per fare in modo che stia in piedi anche economicamente, perché la sostenibilità non sia solo un argomento su cui ragionare, ma ci sia anche una sostenibilità economica che permetta a tutte le associazioni partecipanti di portare avanti progetti più ambiziosi rispetto a questa prima edizione.

D. Ci doni un sogno, un progetto che l’inQubatore Qulturale ha nel cassetto?
R. Adesso è un momento un po’ delicato per rispondere a questa domanda perché il comune di Venaria sta rivedendo le condizioni del bando: probabilmente perderemo la sede, è ancora tutto in via di definizione e non siamo certi che ci sarà un rinnovo, per motivazioni futili di un’amministrazione abbastanza miope. L’ambizione è quella di riuscire a continuare a realizzare il progetto, ossia trasmettere a tutti una maggiore consapevolezza rispetto a quelle che sono le urgenze ambientali soprattutto nel nostro territorio: la Pianura Padana è uno dei luoghi più inquinati a livello globale e ci sono azioni che le persone potrebbero mettere in pratica per vivere in maniera più sostenibile; proviamo a entrare nel concreto e dare stimoli perché ognuno riesca a modificare abitudini e comportamenti della propria vita per agire più consapevolmente nel rispetto dell’ambiente nella loro quotidianità. È questo il progetto alla base dell’InQubatore, poi c’è una piega più turistica: la riscoperta del territorio in cui viviamo dal punto di vista ambientale, il racconto della natura e delle risorse culturali dell’area metropolitana torinese.