Tiziana Bonora narra l’ascesa e la crisi di una bottega storica del savonese dove i prodotti del Comes si miscelano con cultura, informazione e politica.

Abbiamo intervistato Tiziana Bonora, una socia fondatrice dell’Associazione Nuova Solidarietà che agli inizi degli anni ’90 fece nascere la Bottega di Finale Ligure, un luogo in cui non si vendono solamente merci, ma solidarietà, giustizia e dignità.

Voluta da un piccolo gruppo di amici e un sacerdote illuminato, tornato dal Brasile portando la Teoria della Liberazione e l’idea di un nuovo commercio.

D. Quale percorso ha seguito la vostra bottega?
R. Siamo partiti lentamente e pioneristicamente. Prima i banchetti sul sagrato della chiesa, poi una piccola casetta in mezzo a un orto a Finalborgo, aperta tre pomeriggi a settimana. Nel 1993 un negozio più grande a Final Marina, aperto quasi tutti i giorni, uno spazio di distribuzione per i soci. Piano piano, promuovendolo nei momenti pubblici cittadini, siamo arrivati ad assumere regolarmente una ragazza e chiaramente con questa professionalità siamo riusciti a seguire nuovi progetti: liste nozze, bomboniere, le colazioni solidali, momenti culturali. Da associazione siamo diventati cooperativa e abbiamo aperto un negozio più grande e più visibile, sviluppando un bellissimo accordo con il comune di Finale Ligure: ci aveva commissionato i catering di inaugurazione delle mostre del complesso monumentale di Santa Caterina. Poi abbiamo incrementato, da volontari, l’attività nelle scuole: tramite i ragazzi ci siamo fatti conoscere a tutte le famiglie. Siamo arrivati ad aprire una seconda Bottega a Loano e un Bar equo e solidale: caffè letterario in cui utilizzavamo i nostri prodotti e altri ad alto valore sociale.

D. Le persone che acquistano alla Bottega vengono per amicizia, per la bontà dei prodotti o per la bontà dei progetti?
R. Principalmente per la bontà dei prodotti e per l’amicizia che è nata negli anni con persone sensibili ai temi della giustizia, dei diritti e della solidarietà. La Bottega non deve essere esclusivamente un luogo commerciale, ma un luogo di cultura, di altra economia, di riflessione, di informazione sul sistema economico, sul commercio internazionale, sulla finanza; deve fare un lavoro politico sulla mentalità, sugli stili di vita delle persone. Va bene fare importazione, ma è anche importantissimo far conoscere i trattati capestro che inchiodano le persone, gli accordi commerciali iniqui. La nostra Bottega segue e promuove eventi non solo su diritti, giustizia e Terzo Mondo, ma anche su problemi ambientali, cooperazione internazionale, finanza etica. È un punto fisico di collegamento per tutte queste tematiche; abbiamo fidelizzato i clienti, che non abbiamo più perso, anche se poi è subentrata la grande distribuzione a farci concorrenza.

D. Cosa ha significato per voi l’introduzione della vendita di beni fair trade nella grande distribuzione?
R. Per parecchio tempo abbiamo mantenuto calde le vendite, quasi un premio per tutto il lavoro fatto. Chiaramente, con il tempo, su alcuni articoli, come banane e cioccolato, abbiamo subito un calo. Però chi acquista questi beni al supermercato non ne riesce a cogliere il valore intrinseco, l’articolo rimane quasi neutro, si confonde fra gli altri, invece in Bottega chi ti vende il prodotto te lo valorizza: questo è il compito dei volontari, far capire la storia di quel prodotto.

D. Idee per il futuro?
R. Cerchiamo di tenere il presente al meglio, senza avere grandi progetti. Ultimamente abbiamo avuto riduzioni delle vendite, soprattutto dei prodotti dell’artigianato, tanto da dover vendere la Bottega di Loano e chiudere il bar. La recessione economica generale si sente, il prezzo dei nostri prodotti penalizza le classi meno abbienti, anche se i prodotti biologici venduti in altri negozi hanno prezzi più alti. E poi l’idealità è scemata; oggi sembra quasi scomparso il tema del diritto dei lavoratori del Sud del mondo: forse ci dobbiamo occupare dei nostri problemi e quindi c’è un minor interesse generale per le disuguaglianze a livello globale. È difficile trovare volontari appassionati, non riusciamo più a fare promozione nelle scuole e a intessere relazioni con le altre realtà. Molte piccole Botteghe stanno chiudendo e credo che sia una grossa perdita: le persone si troveranno un territorio impoverito sempre più in balia del sistema dominante.