Informazioni, filosofia e ruolo politico del Turismo Responsabile: ce li siamo fatti spiegare da colui che guida AITR, l'associazione che si impegna da vent'anni per un turismo differente.

Una chiacchierata con Maurizio Davolio, presidente di AITR (Associazione Nazionale Turismo Responsabile), per capire in poche righe come il turismo si coniughi con la responsabilità. Un discorso certamente da approfondire per poter vivere i nostri viaggi, in Italia e all'estero, con coscienza e profondità.

D. Turismo responsabile: com’è nata l’idea di costituire un’associazione?
R. Verso la metà degli anni ’90 si tennero delle riunioni coordinate dal promotore di questa iniziativa, Renzo Garrone, presidente di RAM, per riflettere sulle criticità, le problematiche e le patologie del turismo, così come stava avvenendo in altri Paesi europei ed extraeuropei. Iniziò una riflessione sui fenomeni di sviluppo turistico dei Paesi del sud del mondo: non avveniva con modalità che andavano a vantaggio della popolazione locale, ma andava a vantaggio prevalentemente di imprenditori e investitori stranieri e delle grandi aziende multinazionali e non produceva ricadute positive sulle popolazioni, anzi produceva dei danni all’ambiente naturale e anche alla cultura locale, che non era rispettata né dai tour operator, né dalle catene alberghiere, né dai viaggiatori. Su questo approccio irrispettoso si innesta il discorso dello spreco delle risorse idriche, della distruzione della flora, del problema energetico, del diffondersi della prostituzione, anche minorile e di altre forme di devianza sociale e comportamentale. Nel ’98 nacque AITR, venne scelto l’aggettivo responsabile preferito ad altri aggettivi (sostenibile, solidale, consapevole ecc.) perché allora non era usato da nessuno. All’inizio eravamo solo 11 soci fondatori, oggi siamo arrivati ad essere un centinaio di soci, tutte persone giuridiche.

D. Turismo responsabile verso il sud del mondo, ma anche in Italia: in cosa si differenzia?
R. Le differenze riguardano unicamente la qualità degli aspetti legati al turismo, l’intensità delle problematiche, non la qualità in sé. I principi del TR a nostro giudizio sono universali, validi e praticabili sia nel contesto del Sud del mondo sia nel contesto dei Paesi che hanno una storia turistica più antica, come l’Italia, la Francia, la Spagna ecc.. I valori del rispetto dell’ambiente e, delle culture locali, il tema dell’incontro fra chi ospita e chi è ospitato, la sovranità della popolazione locale nell’assumere delle decisioni riguardanti lo sviluppo turistico del proprio territorio, sono principi validi in tutti i paesi del mondo. Noi ci rendemmo conto quasi subito di questa universalità, tant’è che già un paio d’anni dopo la nascita di AITR venne redatta una carta Bel Paese Buon Turismo, declinazione su scala nazionale degli stessi principi che stavamo sostenendo su scala mondiale. Certo, l’intensità dei problemi è diversa, per esempio non esiste un divario enorme dal punto di vista economico tra i turisti e la popolazione residente e non succede che il turismo faccia venir meno le risorse idriche, come succede in certi paesi dell’Africa dove la realizzazione di un campo da golf comporta che la popolazione dell’abitato attiguo rimanga senz’acqua. I problemi sono meno esasperati, però il rispetto della cultura locale, la valorizzazione degli aspetti identitari e dell’autenticità, la lentezza del viaggio, i momenti di incontro, l’avvicinamento alla cultura tangibile e intangibile dei luoghi, sono tutti aspetti presenti anche in Italia, con un’intensità diversa.

D. I vostri soci abbracciano una filosofia, ma i turisti scelgono queste proposte per coscienza, per economicità o per tipologia di proposte?
R. I nostri viaggiatori sono abbastanza variegati. Ci sono quelli che scelgono volontariamente un viaggio di turismo responsabile e sono quelli, possiamo dire, fidelizzati, che da anni si rivolgono a uno o più dei nostri tour operator. Altri si avvicinano per curiosità o per apprezzamento verso questo tipo di viaggi di cui sono venuti casualmente a conoscenza. Non c’è l’aspetto economicità perché i nostri viaggi, se li confrontiamo con i viaggi convenzionali e non con quelli di lusso, non sono meno cari degli altri: sono diversi, e anche la composizione dei costi è diversa.

D. C’è stata una crescita del volume di affari del TR da quando AITR è nata a oggi?
R. Non abbiamo tanti dati, anche perché ci sono tantissimi viaggiatori indipendenti, che non sentono la necessità di partecipare a un viaggio organizzato, e che si ispirano spontaneamente ai principi del turismo responsabile. I viaggiatori che acquistano viaggi dai nostri tour operator sono 7/8000 (quindi numeri molto piccoli), si tratta prevalentemente di giovani adulti (30/40 anni), non di giovanissimi, che non hanno le risorse, né di persone mature o anziane, c’è una prevalenza di donne, da sempre circa il 60% (anche negli altri Paesi c’è la prevalenza femminile), di condizioni economiche e sociali medie o medio-alte e di livello di istruzione medio-alta/alta. Questo è l’identikit dei nostri viaggiatori. Noi vediamo che il nostro sito riceve un numero enorme di visite, proprio per la parte viaggi, e ci immaginiamo che molte persone vadano a studiare i nostri viaggi, prendano ispirazione e poi se li organizzino in modo autonomo. L’altro fenomeno molto importante e che ha dimensioni molto interessanti è che diversi tour operator si sono, almeno parzialmente, avvicinati ai nostri principi, anche perché a livello internazionale c’è una certa pressione. Mentre vent’anni fa di turismo sostenibile iniziava a parlarne qualcuno e di turismo responsabile non ne parlava nessuno, ultimamente queste tematiche fanno parte dei documenti dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, dei documenti della Commissione europea e parecchi Paesi nel mondo iniziano ad adottare delle politiche di turismo responsabile nei loro Master Plan e nelle loro politiche del turismo e quindi pian piano si va generando una condivisione progressiva, seppure parziale, di questi principi. Anche perché è evidente che quando le politiche nazionali dei paesi che ricevono il turismo cominciano a orientare i finanziamenti verso forme di investimento turistico rispettose dell’ambiente, del territorio e della sua popolazione è chiaro che chi vuole beneficiare di questi finanziamenti deve per forza adeguarsi: da un lato è positivo, però c’è un po’ il rischio che se la motivazione per adottare buone pratiche è puramente economica e commerciale vi sono i rischi del green washing, dell’opportunismo, delle scelte basate solamente sulla convenienza e non motivate dal punto di vista etico. Però è importante che davvero questi investimenti siano coerenti con le dichiarazioni compiute, cioè ci vorrebbe una verifica sulla corrispondenza tra il dichiarato e il realizzato. Se dichiaro che farò un resort tutto sostenibile, la gestione dell’acqua, la gestione dell’energia, la gestione dei rifiuti, l’informazione, la lotta agli sprechi alimentari, la formazione del personale, il rispetto delle normative, bisogna verificare che la realizzazione sia coerente, prevedendo anche la revoca del finanziamento se c’è uno scostamento tra dichiarato e realizzato. Noi che siamo nati con l’obiettivo di una diffusione dell’idea del turismo responsabile oggi ci troviamo da un lato a continuare a diffondere le idee, dall’altro a fare un’opera di verifica e di controllo di ciò che sta accadendo.

D. Quindi l’azione di AITR è un’azione politica?
R. Sì, noi interveniamo continuamente sui temi della politica del turismo sia a livello internazionale sia a livello nazionale. Per esempio siamo dentro la fondazione ASVIS, impegnata per il raggiungimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 20/30.
In particolare in questo momento stiamo lavorando sul tema dell’overtourism, il cosiddetto antiturismo, la reazione delle popolazioni di località che sono invase dai turisti con conseguenze sulla vita sociale e civile della popolazione stessa. In Italia a Venezia, a Firenze, nelle Cinque Terre, in Francia a Carcassonne, in Belgio a Bruges, in Croazia a Dubrovnik, in Spagna a Barcellona, dove ci sono stati fenomeni di ostilità. Su questi temi abbiamo posizioni e proposte per cercare di ridurre il più possibile questi fenomeni sia sul lato dell’offerta sia su quello della domanda: faremo un convegno il 26 maggio a Bologna, all’interno del festival Itacà, in cui presenteremo i problemi e le proposte.

D. Turismo responsabile è anche accessibile?
R. Dentro la responsabilità c’è anche il tema dell’accessibilità, tanto che abbiamo sempre avuto nuclei all’interno di AITR che si occupano di questo tema. Ci interessa l’accessibilità della fruizione, ma anche dal punto di vista dell’offerta del turismo. Riteniamo che la persona con disabilità di qualunque tipo, o persone che vengono da percorsi di disagio sociale o di devianza, o anche migranti costituiscano la componente più fragile della società. Siccome noi al centro mettiamo sempre l’interesse della comunità locale, questo interesse cresce a fronte dell’esistenza di fasce più fragili, per cui ci fa piacere l’inserimento lavorativo e sociale di queste categorie. Per quanto riguarda l’offerta per i viaggiatori abbiamo avuto anni di elaborazione teorica, ma sono un po’ mancate le proposte concrete. Speriamo in futuro che si sviluppi maggiormente questo tipo di attenzione.

D. C’è una domanda che non ti abbiamo fatto e che ti saresti aspettato?
R. La domanda che mi faccio io è sulla possibilità che possano esistere delle contraddizioni nel Turismo responsabile. La risposta che mi do è: sì, ci sono tematiche su cui non abbiamo ancora compiuto una riflessione adeguata e pertanto viviamo delle situazioni contradditorie. Per esempio il problema della sostenibilità degli alberghi. Tantissimi villaggi turistici di nuova generazione hanno messo i pannelli solari, il fotovoltaico, hanno adottato buone pratiche per la gestione dell’acqua, quindi paradossalmente sono più avanti, a volte, dei nostri fornitori: il piccolo albergo gestito dalla famiglia locale talvolta è ancora indietro nel rispetto della sostenibilità. Anche i mezzi di trasporto privati, nuovissimi, sono più rispettosi dell’ambiente rispetto ai mezzi pubblici, utilizzati dal trasporto locale, più vecchi e più inquinanti, che noi promuoviamo. Altro aspetto su cui mi interrogo è il lavoro minorile: abbiamo situazioni in cui ragazzini tornati da scuola danno una mano ai genitori che gestiscono un ristorante o un albergo. Ci può essere una posizione severa di matrice sindacale che dice che il lavoro minorile è sempre da escludere, oppure una posizione più pragmatica che dice sì perché i ragazzi imparano un mestiere, sono dentro un ambiente protetto, aiutano la famiglia. C’è da riflettere su certe forme di economia informale, come le assunzioni non regolari, ma a volte ci troviamo di fronte a situazioni in cui la sopravvivenza di un’attività è legata all’adozione di pratiche che non sono perfettamente corrispondenti e conformi alle normative: c’è da scegliere, o le accettiamo o lasciamo morire quell’attività. Negli anni ci siamo resi conto che certe questioni sono da affrontare con il dovuto buon senso, ma tutti i nostri organizzatori di viaggio hanno la licenza da tour operator e utilizziamo solo strutture dotate di licenza, perché siamo convinti che la solidarietà si aggiunge alla legalità, non si sostituisce a questa; la legalità va rispettata da tutti e, in più, noi aggiungiamo degli elementi di solidarietà.